Il sistema imprenditoriale è cauto: è giusto contenere le emissioni di anidride carbonica ed è doveroso ridurre gli sprechi di energia, ma il gioco deve valere la candela. «E una spesa di oltre 20 miliardi di euro l'anno deve essere spiegata molto bene», osserva Antonio Costato, 48 anni, imprenditore a Rovigo e vicepresidente della Confindustria per l'Energia e il mercato.
Costato, le prime stime indicano che – per attenerci alla direttiva europea «20-20-20» su energia ed emissioni di anidride carbonica – potremmo spendere almeno 20-25 miliardi di euro l'anno. Che ne pensa?
La Confindustria è cauta. È pericoloso indossare i panni di chi è più realista del re e, nel caso del negoziato internazionale che ha portato a questo risultato, il Governo italiano troppo spesso ha indossato i panni di chi vuole essere più bravo senza una valutazione corretta dell'impatto al quale ci si sta esponendo.
È importante contenere l'effetto serra. Non trova?
Siamo i primi ad affermarlo. Ma non ha senso che si muova solamente l'Italia oppure l'Europa quando ci sono asimmetrie violente con Paesi come India o Cina, Paesi che non sono disposti a compromettere il loro futuro economico.
Questi Paesi ritengono insostenibile questo costo.
Anche per l'Italia il costo è insostenibile, a queste condizioni: già oggi siamo a crescita zero, e trasferire sui vincoli energetici cifre vicine alll'1,5% del prodotto interno lordo significa la crisi. Ma non è l'entità della cifra, che già di per sé è enorme. Se questa spesa fosse destinata verso strumenti efficaci, si potrebbe accettare. Il problema è che le politiche vincolistiche non sono una "partita di giro". Una pari spesa in – poniamo – infrastrutture è un investimento e non soltanto costo perché alla fine apporta un miglioramento diffuso. Nel caso di sanzioni che derivano dal non rispetto della direttiva europea «20-20-20» parliamo di un trasferimento netto di risorse dal perimetro economico del Paese. Inoltre, vorrei lanciare un "warning" generale. Dobbiamo evitare che l'inseguimento velleitario degli obiettivi della direttiva attraverso il solo meccanismo delle fonti rinnovabili a bassa efficienza possa nascondere un pretesto per creare bacini protetti di mercato. Penso per esempio al segmento dell'eolico o del fotovoltaico. È chiaro che le imprese italiane sono d'accordo sugli investimenti nell'energia pulita, e molte aziende di sono impegnate in prima persona, ma una politica ambientale deve saper far crescere queste produzioni, non creare un'area protetta. Piuttosto che assistera a una disordinata e opportunistica gemmazione di impianti eolici che funzionano 2mila ore l'anno, che assorbono incentivi rilevantissimi, vorrei vedere qualche iniziativa di respiro nell'idroelettrico. Qualche spazio per sfruttare l'oro "bianco" dei nostri fiumi c'è ancora e il contributo in termini economici e di sostenibilità ambientale sarebbe molto più incisivo.
Come investire meglio?
Vorrei vedere un miglior rapporto tra costi e benefici. Un esempio: una fetta importante di quei 20 miliardi di euro l'anno potrebbe andare nello sviluppo e nella diffusione delle tecnologie ad alta efficienza, nel risparmio energetico, nella cattura dell'anidride carbonica già all'uscita della centrale elettrica e nella creazione di depositi sotterranei per immagazzinare questo composto, come fa per esempio la Germania.
